05Feb2025

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Categoria: Leggende di Gela

Leggende e Miti di Gela
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Leggende di Gela

La Leggenda Della Femmina Nuda

Fino ai primi anni Cinquanta, sulla piazza principale di Gela troneggiava un busto marmoreo di Re Umberto I, realizzato con pregiato marmo di Carrara dallo scultore palermitano Antonio Ugo e inaugurato nel 1903 (nota: tre anni dopo l’assassinio del re; fu voluto allora da tutta la città). Nel 1952, il busto del Re fu sostituito da una statua bronzea di una donna nuda, raffigurante Demetra, dea della mitologia greca. Quest’opera, creata dallo scultore bagherese Silvestre Cuffaro, fu commissionata dalla Regione Siciliana e donata al compianto On.le Salvatore Aldisio, che pensò bene di regalare la statua alla sua città natale, sebbene non sapesse esattamente cosa rappresentasse.

Il giorno dell’inaugurazione, la piazza si riempì di autorità civili, militari e religiose, insieme a una folla copiosa che occupava ogni angolo disponibile, inclusa la gradinata e il sagrato dell’antistante chiesa Madre. La statua, avvolta in un misterioso contenitore, stava per essere svelata. Per descrivere ciò che accadde durante quel momento, lasciamo parlare le parole di Curtis Bill Pepper, un giornalista e scrittore americano presente alla cerimonia. Egli scrisse un articolo intitolato “It happened in Italy” (E’ accaduto in Italia), di cui sintetizziamo il testo.

<<Nel momento solenne dello scoprimento, contrariamente a quanto di solito accade, non ci furono né grida di gioia né applausi, ma un silenzio tombale calò tremendo sulla piazza. La folla, incredula e ammutolita, assistette all’apparizione della statua di una donna completamente nuda, con un drappo che modestamente avvolgeva il bacino nella parte più intima: a Gela “nulla di simile si era mai visto”. Dopo l’iniziale smarrimento, cominciarono a levarsi delle grida: una donna esclamò: “…ma è completamente nuda!”, mentre un’altra si affrettò a dire: “…non fate guardare i bambini!”.>>

L’allora parroco della Matrice, Mons. Gioacchino Federico, ripresosi dallo sgomento, non poté fare a meno di urlare: “Bruciatela!… È un insulto continuo di fronte alla chiesa, una tentazione diavolesca per i giovani che vengono tentati prima del loro tempo”. Intanto, mentre “gli amanti dell’arte” e i “moralisti scioccati” dibattevano sul da farsi – togliere o lasciare “la donna nuda” in piazza – alcuni volenterosi cercarono di porre rimedio a quella “vergogna” coprendo la statua con della stoffa. Ma il rimedio risultò peggiore del male: quel drappo la rese persino più sexy di quanto non fosse già.

Nonostante la contrarietà del parroco e di molte altre persone, si decise di lasciare la statua nuda in piazza. Tuttavia, nella prima decade di settembre di quell’anno, fu tolta dal suo piedistallo in occasione dei festeggiamenti della Patrona di Gela, alla presenza del vescovo della diocesi. E così, la leggenda della femmina nuda continuò a vivere nei racconti della gente, un mistero avvolto nella polvere del tempo e nella memoria collettiva della città.

 

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Leggende di Gela

La Leggenda Del Mostro Del Lago Biviere

Tra le tante creature straordinarie che popolano il Lago Biviere di Gela, si narra che le acque del Lago fossero frequentate da una presenza inquietante: un gigantesco serpente le cui sembianze ricorderebbero un rettile estinto del Paleocene.

Un giorno, durante una battuta di caccia, due uomini appostati tra i canneti delle sponde del Biviere in attesa che le folaghe si levassero in volo, videro spuntare improvvisamente un grosso rettile tutto ricoperto di scaglie, dalla testa alla coda, era la “biddina”, un mostruoso rettile dalla circonferenza di un “vuttazzeddu di una sarma di vino” e dalle dimensioni titaniche ricoperta da squame corazzate e occhi rossi che ipnotizzavano e terrorizzavano i passanti, mietendo numerose vittime.

Il mostro che arrivava dalla terraferma si dirigeva spedito verso di loro così che i due cacciatori, paralizzati dalla paura attesero l’entrata in acqua della bestia e scapparono a gambe levate verso il paese gridando “ a biddina scappau “.

Nei giorni a seguire, un gruppo di impavidi , avvistata ” a biddina ” in contrada S. Giuliano, in territorio di Mazzarino ai confini con Butera, riuscirono a tramortire il rettile leggendario colpendolo a morte con un solo proiettile sparato in bocca, unica parte del corpo non protetta dalle scaglie magiche.

La leggenda vuole che una biscia che rimanga nascosta per sette anni si tramuta in “biddrina”, diventando gigantesca come per magia. Questa serpe ammaliatrice vive nascosta presso le fonti e le paludi e riesce ad attirare i malcapitati che passino da quei luoghi incantandoli con lo sguardo.

L’invenzione di questa creatura rispondeva probabilmente all’esigenza di evitare che i bambini andassero a fare il bagno in questi laghetti paludosi col pericolo di annegarvi. La sua evocazione, infatti, è sempre stata lo spauracchio dei bambini.

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Leggende di Gela

La Leggenda Del Manfrino

Al tempo in cui venne costruito era un magnifico gioiello di architettura fiabesca, incastonato in una meravigliosa e verde cornice di boschetti rigogliosi – digradanti dolcemente verso la Piana – che limpidi e mormoranti ruscelli attraversavano leggeri come una carezza, rendendo sempre fresca e tenera l’erba punteggiata di fiori profumati.

Il castello apparteneva alla nobile, ricca e potente famiglia “Manfrina”, signora di quel vasto e fertile feudo che da essa prese il nome di Manfria e che vi abitò per diverse generazioni fino agli ultimi due superstiti, Manfrino e la sorella Manfrina, con questi abitava la dama “Provenza” dei conti Montalbano.

La sera di un lontano dicembre egli diede una festa in onore della sorella. Purtroppo, era destino che quella festa avrebbe segnato la fine della famiglia Manfrina.

a dama Provenza, agitata da strani presentimenti, ne fece partecipe lo stesso Manfrino, il quale la rassicurò che niente di male sarebbe accaduto, poiché i cavalieri invitati rappresentavano l’espressione più alta dei casati nobiliari isolani, il cui rigido codice d’onore era universalmente ed indiscutibilmente accettato.

“Calmati, Provenza”, le disse Manfrino, “non devi preoccuparti di alcunché! Questi cavalieri non tradiranno l’ospitalità!”. Ed aggiunse: “ ricordati che Manfrino non teme rivali che possano reggere alla sua spada ed alla sua forza!”.

La dama Provenza, che con apprensione partecipava al banchetto, venne colpita dalla straordinaria bellezza di un cavaliere, il signore Morgantina, la cui presenza la fece sognare ad occhi aperti, liberandola dall’incubo di quei sogni premonitori.

Mentre Manfrino si intratteneva in un’altra sala, la bellissima Manfrina, ignara di quanto veniva ordito a suo danno dai cavalieri, che ne avevano già deciso il rapimento.

Nel momento culminante della serata, i cavalieri si scagliarono con le armi in pugno sulla servitù, massacrando quanti cercavano di difendere la fanciulla.

Fu un susseguirsi di urla, di lamenti angosciosi e di imprecazioni terribili.

“Tradimento!…, Tradimento!…” – si mise a gridare la dama Provenza, col cuore in gola.

Richiamato dalle grida Manfrino piombò come un fulmine e si mise a menar chiunque si trovasse a tiro. I traditori, avuta la peggio, non trovarono di meglio che fuggire precipitosamente dal castello, inseguiti dal gigante che aveva intanto impugnato la spada e cavalcato il suo destriero.

La dama Provenza, che nel frattempo si era armata di una grossa mazza, si univa a lui e riusciva a stendere per terra contemporaneamente sette cavalieri ad ogni colpo.

Ma i fuggiaschi, non appena si riebbero dallo stordimento, non rassegnandosi all’umiliazione subita e consapevoli della loro superiorità numerica, decisero di affrontarlo con tutto l’impeto di cui erano capaci e gli tesero un mortale agguato.

Non appena gli furono di fronte ne colpirono l’aggressivo e focoso cavallo che, in un supremo sforzo di tensione, impresse con violenza il proprio zoccolo sulla nuda roccia calcarea, lasciandovi la viva e gigantesca impronta seguita dal possente piede del cadente Manfrino suggellando con l’orma del suo piede la stessa roccia.. “l’impronta è ancor oggi visibile e reale“

Immediatamente dopo si scagliarono su Manfrino, che, colpito in più parti del corpo, veniva preso ed incatenato, per poi abbandonarlo agonizzante. La dama Provenza, mentre si chinava sul corpo del cavaliere di Morgantina per baciarlo, veniva colpita a morte dall’infame e finto morto col pugnale nella parte fatale del corpo.

Manfrino, malgrado le mortali ferite, riusciva ad arrampicarsi sulle rocce e a portarsi dentro il castello. Qui trovava la sorella senza vita in un lago di sangue, mentre i malfattori cercavano di trascinare fuori i pesanti forzieri contenenti gli immensi tesori accumulati da secoli dalla famiglia Manfrina.

Il gigante allora, rivolgendosi al cielo, ne chiese l’intervento, pronunciando misteriose e struggenti parole dal cui incantesimo si creò un vortice pauroso che risucchiò uomini e cose facendoli sprofondare nelle viscere della terra.

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Leggende di Gela

Ghelos, Il Dio Del Fiume Di Gela

Acheloo, figlio del titano Oceano e della titanide Teti, primo fra tutti i fratelli fiumi era immaginato in forma di toro, come spesso anche altre divinità fluviali. Compare nel ciclo delle fatiche di Eracle: infatti aspirava alle nozze con Deianira, figlia di Eneo, re degli Etoli, che era stata chiesta in moglie proprio da Eracle.

Durante la lotta fra i due, Acheloo si trasformò prima in toro, come narra Sofocle, poi in un drago viscido e iridescente ed infine in un uomo dalla testa di bue, ed Eracle gli strappò un corno.

L’episodio è narrato da Ovidio nelle Metamorfosi. Allora Acheloo si considerò vinto e gli cedette il diritto di sposare Deianira, ma gli richiese il suo corno, dandogli in cambio un corno della capra Amaltea, la nutrice di Zeus, ossia la cornucopia. Un’immagine fedele del mito, compresa la cornucopia si trova a casa de’ Mezzan, a Feltre.

Presso la casa di Eneo, re di Calidone e di sua moglie Altea, sorella di Meleagro e Tideo, si erano riuniti numerosi pretendenti alla mano della loro figlia Deianira. Tra di essi era presente anche Acheloo, divinità fluviale dell’Etolia che aveva la facoltà di assumere qualunque aspetto.

Mentre tutti i pretendenti erano riuniti in una grande sala, all’improvviso fece il suo ingresso Eracle (Ercole nella mitologia latina) ornato con la pelle del leone che aveva ucciso nella pianura di Nemea. Alla sua presenza tutti i pretendenti di Deianira, nonostante fossero uomini abili e valorosi nell’arte della guerra, si ritirarono tranne Acheloo che rimase a contendere con Eracle la mano della fanciulla.

Eracle, per convincere Deianira ad accettarlo come sposo iniziò a declamare le sue origini divine dicendo che sarebbe diventata nuora di Zeus. Per contro Acheloo ribatteva che era il dio di un grande fiume e che non era odiato da nessuno al contrario di Eracle che era perseguitato da Era, la sposa di Zeus. A quel punto Eracle disse che meglio delle parole, contavano i fatti per cui sfidò Acheloo a duello.

I due rivali si disposero nell’arena ed iniziarono a scrutarsi. Il primo a muoversi fu Eracle che presa una manciata di sabbia da terra la gettò sul viso di Acheloo. Questi per poco non rimase accecato ma subito si riprese e si scagliò contro Eracle.

A lungo i due contendenti combattevano avvinghiati l’uno all’altro e senza esclusione di colpi. Alla fine però Eracle riuscì a svincolarsi e a montare sulle spalle di Acheloo immobilizzandolo.

Acheloo era sul punto di soccombere quando si trasformò in un gigantesco serpente.

La vista del serpente avrebbe fatto inorridire chiunque ma non Eracle che invece si mise a ridere mentre ricordava ad Acheloo che ancora in fasce aveva ucciso i due serpenti che Era gli aveva inviato per ucciderlo.

A quel punto Ercole stringe forte con una sola mano la testa del serpente e stava per soffocare Acheloo che prontamente si trasformò in un enorme toro.

Eracle, per nulla intimorito a quella vista, lo afferrò per le corna e lo scaraventò a terra con talmente tanta forza che si spezzò una delle due corna ed in questo modo Acheloo fu mutilato per sempre.

A quel punto per sfuggire ad Eracle, Acheloo si gettò nel fiume Toante che da allora prese il suo nome (in greco moderno è Aspropòtamo, il secondo fiume per lunghezza della Grecia)e da quell’episodio Acheloo venne rappresentato con il corpo di un toro e la testa di un uomo barbuto o con il corpo umano e la testa di un toro ma sempre con un solo corno.

Acheloo si considerò vinto e gli cedette il diritto di sposare Deianira ,ma rivolle indietro il suo corno e dette in cambio ad Eracle il corno della capra Amaltea, ossia la cornucopia .

Dalle gocce di sangue di Acheloo nacquero molte altre divinità rappresentanti i fiumi delle principali Poleis, come Pirene di Corinto, la fonte Castalia di Delfi, la fonte Dirce di Tebe, Ghelos cioè il fiume Gela e L’Amenano di Catania.

Una delle interpretazioni che si danno a questo episodio è che Acheloo non era altro che un fiume dell’Etolia che ricordava un serpente per via del suo percorso sinuoso, che frequentemente straripava in maniera prorompente come la carica di un toro. Quando arrivò Eracle questi arginò il suo corso costringendolo a scorrere in un solo letto (l’allegoria con il corno strappato) portando in questo modo prosperità alle regioni che attraversa.

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La Leggenda Del Castelluccio

La Leggenda del Castelluccio di Gela parla di una bellissima castellana dalla lunga chioma nera che attirava tutti i passanti e i contadini con i suoi canti melodiosi.

Si narra che la bella castellana fosse di corporatura esile, che indossava un meraviglioso manto blu e argento, truccata con uno strano rossetto verde, tanto verde che alcuni pensavano provenisse dalla sua bile. Era una figura dotata di fascino misterioso perché tanto bella quanto crudele, severa e intransigente con i servitori, ambigua, sfuggente.

Durante le sue giornate si occupava della servitù e si prendeva cura dei cavalli.

Tanti uomini erano attratti dalla sua bellezza e dalla sua voce, ma chiunque tentava di avvicinarsi, poi scompariva nel nulla.

Chi doveva discutere di affari con lei, inviava i messaggi con i piccioni. Ma anche quelli non facevano più ritorno.

Alcuni raccontano di aver visto di notte un cavaliere con l’armatura, aggirarsi intorno alla fortezza, per poi scomparire nella oscurità. Questi strani eventi mettevano certamente paura ai numerosi viandanti che, spesso, evitavano di avvicinarsi troppo al castello.

Si racconta anche che fra quelle mura secolari del castello vi fossero dei fantasmi e ombre.

Si dice inoltre che ci fosse nascosto un tesoro ovvero “a travatura” ma finora nessuno è mai riuscito a trovarne traccia.

Non si sa se la Castellana sia veramente esistita in questo castello ma ciò che è vero è che all’interno del castello, ci sono dei tunnel sotterranei che lo collegano fin dentro la città di Gela.

Purtroppo ad oggi, dopo alcuni lavori di restauro, è stato abbandonato, rientrando così nel novero dei magnifici castelli siciliani prima restaurati e poi abbandonati nuovamente al proprio inesorabile destino. Eppure, la posizione del Castelluccio fa sì che dalla sommità del colle si possa godere di un incredibile panorama.