i de Javu
il gruppo musicale de “i De Javu” che con la canzone “i Can’t Stop” hanno raggiunto i vertici delle classifiche mondiali della dance music nei primi anni 2000.
il gruppo musicale de “i De Javu” che con la canzone “i Can’t Stop” hanno raggiunto i vertici delle classifiche mondiali della dance music nei primi anni 2000.
Nonostante la giovanissima età, Rosario ha una grandissima passione per la musica e in particolare per la musica neomelodica. Spigliato ed esuberante, il ragazzo si definisce preciso in ogni cosa che fa: dalla scuola fino ai capelli. Sui social dopo la sua esibizione in tanti hanno ripostato il suo video: da Gianni Simioli che ha condiviso il video della performance scrivendo: “L’hai visto ? “ Abbracciame” baby- version !” taggando proprio il cantante e autore del celebre brano, Andrea Sannino.
Nato a Vittoria e cresciuto a Gela, Pellegrino inizia a giocare nella
Polisportiva Basket Gela con la quale debutta in Serie D. Nel 2008 si
trasferisce al Basket Trapani e vi rimane fino al 2010 allorché si trasferisce
in prestito alla Virtus Racalmuto.
Durante le finali regionali Under-19 del 2010 viene notato dai dirigenti
dell'Orlandina Basket ed ingaggiato un anno più tardi, nell'estate 2011,
quando all'epoca la formazione biancazzurra militava in Divisione
Nazionale A.
Nel giugno del 2017 viene reso noto il suo ingaggio da parte dell'APU
Udine. La sua prima parentesi friulana dura due stagioni. Nella prima di
esse, ovvero nella Serie A2 2017-2018, i bianconeri chiudono quarti nel
girone est e vengono eliminati ai quarti di finale, con il pivot siciliano che
tra regular season e play-off mette a segno 7,3 punti e 6,2 rimbalzi in 19,3
minuti. L'anno seguente vede invece la squadra classificarsi quinta ed
uscire agli ottavi di finale, con un apporto di Pellegrino di 7,6 punti e 6,0
rimbalzi in 19,8 minuti.
Angelo Famao nasce a Gela (CL), in Sicilia, il 23 aprile 1996, in una famiglia di umili origini, una condizione che lo spinge tutt’oggi a mantenere ben saldi i suoi valori basati su principi sani.
Crescendo nei vicoli del suo paese, Angelo sviluppa fin da piccolo una grande passione per la musica, dimostrando un’innata predisposizione per quest’arte.
All’età di 13 anni, il giovane inizia a lavorare presso un autolavaggio nel suo paese, attività che porta avanti per 5 anni. Grazie a questo impiego, ai sacrifici affrontati e al costante supporto morale dei suoi genitori, riesce a realizzare il suo sogno: debuttare nel mondo della musica, incidendo due album intitolati Tra sogno e realtà e La voce del cuore. Tuttavia, questi primi lavori non gli portano il successo sperato.
Nonostante le difficoltà, Angelo non si arrende e continua a inseguire il suo obiettivo. A 20 anni si trasferisce a Catania per proseguire il suo percorso musicale. Dopo molte delusioni e porte chiuse, incontra una figura cruciale per la sua vita e carriera: il maestro Mario Parise. Questi, credendo nel talento del giovane, diventa il suo produttore discografico insieme a Nino Marchi, cantautore e socio del maestro Parise. Così, Angelo entra a far parte della casa discografica Bluemusic.
Il 2018 segna per Angelo il primo grande successo con il brano Tu si’ a fine do’ munno, che supera le 70 milioni di visualizzazioni su YouTube. Questo singolo gli vale anche il primato come unico cantante neomelodico ad aver ricevuto un disco d’oro.
Nonostante il successo, Angelo è rimasto fedele alla sua autenticità e umiltà. Non ha mai dimenticato le sue origini e i sacrifici che lo hanno portato a diventare un artista molto richiesto. Angelo attribuisce grande valore alla determinazione, all’ambizione e alla capacità di sacrificarsi, continuando a dedicarsi alla musica con nuovi brani.
Le parole che meglio rappresentano la sua filosofia di vita e carriera sono racchiuse in una frase motivazionale che è diventata il suo motto quotidiano. Angelo la ripete a se stesso e la condivide per incoraggiare gli altri a non arrendersi:
«Non c’è alcun successo senza sacrificio. Dobbiamo affrontare ogni impresa con entusiasmo, impegno e dedizione. Bisogna chiedere, certo, ma sempre pronti a dare più di quanto riceviamo».
Come di consueto, per la rubrica ‘’Gelesi Che Si Sono Distinti’’ torniamo ad occuparci dell’esperienza lavorativa di un nostro concittadino al festival di Sanremo, importante kermesse canora tramessa in mondo visione su Raiuno.
Si tratta di Lino Incorvaia, parrucchiere, truccatore ed onicotecnico, professionista della ricostruzione ed applicazione di unghie artificiali che anche per questa edizione del festival giunto alla sua 69° edizione ha curato “trucco e parrucco” di alcuni cantanti in gara.
A Gela gestisce con successo un salone tutto suo ed è molto apprezzato dalle sue tante clienti, che a quanto pare non sono molto contente quando si allontana da Gela, temendo di essere abbandonate per il mondo dello spettacolo, nel quale aspira di lavorare in maniera continuativa e non solo per occasioni speciali, come quella del festival della canzone italiana.
Ha curato il look del vincitore Mahmood con la canzone “Soldi”, del rapper Guè Pequeno che con lui si è esibito in un duetto, i Zen Circus e dei ballerini Tim, la casa discografica per la quale L’Accademia Area Stile di Milano ha prestato la sua opera e che ha contattato per l’ennesimo anno l’acconciatore gelese, entrato ormai a far parte del team di operatori del festival di Sanremo.
Inoltre , in questi anno ha continuato a curare il look dei cantanti piu noti del festival , infatti nel 2022 ha curato il look dei vincitori,Mahmood e Blanco
«Mi ha fatto uno strano effetto occuparmi del look di Alessandro (Mahmood) un mio vecchio e caro amico che ho conosciuto e frequentato nei tre anni che ho vissuto e lavorato a Milano, dal 2012 al 2015. A quei tempi muoveva i primi passi nel mondo della musica come rapper e rincontrarlo per una manifestazione di importanza nazionale a lavorare anche per lui mi ha fatto tanto piacere. Poi quando è stato decretato vincitore l’emozione è stata veramente forte».
«Ho vissuto momenti molto belli ed emozionanti, potendo usufruire di un pass che mi ha permesso di potermi muovere liberamente all’Ariston durante le prove dello spettacolo e di poter assistere alle interviste nella sala stampa. Ho lavorato in un clima molto rilassato, sentendomi a mio agio con i vari artisti, che nella cura del loro look hanno lasciato fare al mio estro. Ho conosciuto Claudio Baglioni, Claudio Bisio e la bellissima e Virginia Raffaele. Ma anche la simpaticissima Michelle Hunziker, poi Eros Ramazzotti ed Alessandra Moroso. Tutti molto bravi, professionali e pieni di fascino»
Fino ai primi anni Cinquanta, sulla piazza principale di Gela troneggiava un busto marmoreo di Re Umberto I, realizzato con pregiato marmo di Carrara dallo scultore palermitano Antonio Ugo e inaugurato nel 1903 (nota: tre anni dopo l’assassinio del re; fu voluto allora da tutta la città). Nel 1952, il busto del Re fu sostituito da una statua bronzea di una donna nuda, raffigurante Demetra, dea della mitologia greca. Quest’opera, creata dallo scultore bagherese Silvestre Cuffaro, fu commissionata dalla Regione Siciliana e donata al compianto On.le Salvatore Aldisio, che pensò bene di regalare la statua alla sua città natale, sebbene non sapesse esattamente cosa rappresentasse.
Il giorno dell’inaugurazione, la piazza si riempì di autorità civili, militari e religiose, insieme a una folla copiosa che occupava ogni angolo disponibile, inclusa la gradinata e il sagrato dell’antistante chiesa Madre. La statua, avvolta in un misterioso contenitore, stava per essere svelata. Per descrivere ciò che accadde durante quel momento, lasciamo parlare le parole di Curtis Bill Pepper, un giornalista e scrittore americano presente alla cerimonia. Egli scrisse un articolo intitolato “It happened in Italy” (E’ accaduto in Italia), di cui sintetizziamo il testo.
<<Nel momento solenne dello scoprimento, contrariamente a quanto di solito accade, non ci furono né grida di gioia né applausi, ma un silenzio tombale calò tremendo sulla piazza. La folla, incredula e ammutolita, assistette all’apparizione della statua di una donna completamente nuda, con un drappo che modestamente avvolgeva il bacino nella parte più intima: a Gela “nulla di simile si era mai visto”. Dopo l’iniziale smarrimento, cominciarono a levarsi delle grida: una donna esclamò: “…ma è completamente nuda!”, mentre un’altra si affrettò a dire: “…non fate guardare i bambini!”.>>
L’allora parroco della Matrice, Mons. Gioacchino Federico, ripresosi dallo sgomento, non poté fare a meno di urlare: “Bruciatela!… È un insulto continuo di fronte alla chiesa, una tentazione diavolesca per i giovani che vengono tentati prima del loro tempo”. Intanto, mentre “gli amanti dell’arte” e i “moralisti scioccati” dibattevano sul da farsi – togliere o lasciare “la donna nuda” in piazza – alcuni volenterosi cercarono di porre rimedio a quella “vergogna” coprendo la statua con della stoffa. Ma il rimedio risultò peggiore del male: quel drappo la rese persino più sexy di quanto non fosse già.
Nonostante la contrarietà del parroco e di molte altre persone, si decise di lasciare la statua nuda in piazza. Tuttavia, nella prima decade di settembre di quell’anno, fu tolta dal suo piedistallo in occasione dei festeggiamenti della Patrona di Gela, alla presenza del vescovo della diocesi. E così, la leggenda della femmina nuda continuò a vivere nei racconti della gente, un mistero avvolto nella polvere del tempo e nella memoria collettiva della città.
Tra le tante creature straordinarie che popolano il Lago Biviere di Gela, si narra che le acque del Lago fossero frequentate da una presenza inquietante: un gigantesco serpente le cui sembianze ricorderebbero un rettile estinto del Paleocene.
Un giorno, durante una battuta di caccia, due uomini appostati tra i canneti delle sponde del Biviere in attesa che le folaghe si levassero in volo, videro spuntare improvvisamente un grosso rettile tutto ricoperto di scaglie, dalla testa alla coda, era la “biddina”, un mostruoso rettile dalla circonferenza di un “vuttazzeddu di una sarma di vino” e dalle dimensioni titaniche ricoperta da squame corazzate e occhi rossi che ipnotizzavano e terrorizzavano i passanti, mietendo numerose vittime.
Il mostro che arrivava dalla terraferma si dirigeva spedito verso di loro così che i due cacciatori, paralizzati dalla paura attesero l’entrata in acqua della bestia e scapparono a gambe levate verso il paese gridando “ a biddina scappau “.
Nei giorni a seguire, un gruppo di impavidi , avvistata ” a biddina ” in contrada S. Giuliano, in territorio di Mazzarino ai confini con Butera, riuscirono a tramortire il rettile leggendario colpendolo a morte con un solo proiettile sparato in bocca, unica parte del corpo non protetta dalle scaglie magiche.
La leggenda vuole che una biscia che rimanga nascosta per sette anni si tramuta in “biddrina”, diventando gigantesca come per magia. Questa serpe ammaliatrice vive nascosta presso le fonti e le paludi e riesce ad attirare i malcapitati che passino da quei luoghi incantandoli con lo sguardo.
L’invenzione di questa creatura rispondeva probabilmente all’esigenza di evitare che i bambini andassero a fare il bagno in questi laghetti paludosi col pericolo di annegarvi. La sua evocazione, infatti, è sempre stata lo spauracchio dei bambini.